mercoledì 11 gennaio 2012

DOCUMENTO FINALE FORUM SUI BENI COMUNI - i cantieri che vogliamo

Nel tempo della crisi economica e finanziaria globale, sperimentiamo ogni giorno sulle nostre vite il fallimento dei meccanismi democratici tradizionali e la costante erosione di uno spazio pubblico agibile, condiviso e partecipato. Le nostre esistenze sono segnate da una precarietà insostenibile e dall’impossibilità di progettare il futuro, ma anche da un progressivo isolamento che aumenta il senso di vulnerabilità e impotenza soggettivo e rende difficile immaginare azioni e proposte collettive. A questa condizione individuale corrisponde la sottrazione di risorse e spazi che dovrebbero essere condivisi, ma vengono invece mercificati e gestiti esclusivamente secondo logiche di profitto e rendita. Questo paradigma di sfruttamento, in atto a livello globale, diventa pernicioso per la nostra città fondendosi con comportamenti sociali diffusi, pratiche e meccanismi storici di gestione e controllo mafiosi del territorio, dei beni e delle istituzioni. Dal riconoscimento di questa condizione, che potremmo definire di “male comune”, è però possibile operare uno scarto che ci porti al di fuori del nostro isolamento e arrivi a prospettare un orizzonte di “bene comune” possibile.
La riflessione sull’abbandono degli spazi pubblici (e con essi sull’abbandono della città) è stata l’occasione per ripensare la possibilità della riapertura di uno spazio politico, di discussione e iniziative condivise, su questioni che ci riguardano in prima persona ma che uniscono in modo inestricabile il locale con il globale. Lo spazio politico che ha iniziato a essere vissuto e costruito in questi giorni, proprio grazie alle pratiche che ha saputo esercitare, è in sé non strumentalizzabile e non strumentale. Anche se rimane aperto all’interlocuzione, questo spazio si sottrae con forza a qualsiasi infiltrazione che intenda piegarlo a interessi elettorali o particolaristici che non pongano al centro la nozione di bene comune. Lo spazio che costruiamo si pensa al contempo come autonomo e costituente.
Il paradigma fondante del movimento cittadino Cultura Bene Comune si oppone infatti alla pura logica del mercato che in questi anni è stata portata avanti da soggetti sia pubblici che privati. Per beni comuni intendiamo le risorse naturali come l’acqua, indispensabili alla sopravvivenza; quelle materiali come gli spazi culturali sociali e politici, indispensabili al benessere di tutti, e quelli immateriali come i saperi, le arti e le culture.
Per essere comune, un bene deve essere riconosciuto come tale, e come tale rivendicato, gestito e reso accessibile.
Affermare e mettere in pratica di questo paradigma non significa per noi che le istituzioni pubbliche possano sentirsi legittimate a sottrarsi ai propri doveri nei confronti della collettività, e sottolinea anzi il fallimento della funzione statale quale garanzia dell’interesse collettivo e della democrazia. Le istituzioni pubbliche non devono dunque sottrarsi al proprio dovere di trasparenza, onestà e correttezza nella gestione della cosa pubblica e al contempo accogliere e sostenere modelli di gestioni partecipati, accessibili e quindi realmente democratici dei beni comuni. Ciò significa innanzitutto impegnarsi a rendere indisponibili alla mercificazione i beni definiti come tali.

I Cantieri culturali della Zisa rappresentano per noi il primo degli spazi cittadini da salvaguardare in questo senso per il valore concreto e simbolico che hanno avuto nella storia recente di Palermo e per il grave stato di degrado in cui abbiamo accettato che fossero lasciati. Dai Cantieri partiamo per sperimentare e proporre alla città un modello di azione virtuosa e al contempo un laboratorio di gestione alternativa di spazi e risorse che sia riproducibile ed estendibile. I Cantieri della Zisa inoltre si prestano a diventare un luogo di messa in opera di modalità di finanziamento dal basso innovative ed ecologicamente sostenibili come quelle legate alla produzione di energia fotovoltaica.
Questo percorso muove da alcuni obiettivi immediati: vogliamo che spazi come il museo di arte contemporanea e la sala cinematografica Vittorio De Seta, realizzati e allestiti con un impiego massiccio di risorse pubbliche e scandalosamente inutilizzati, siano subito riaperti al pubblico e subito ci impegniamo a vigilare su questo processo e a parteciparvi attivamente.

Rispetto al futuro dei Cantieri quanto sta accadendo in questi giorni è la più palese “manifestazione di interesse,” ben diverso da quello che obbedisce a logiche di mero profitto, da parte di numerose associazioni, artisti e cittadini riuniti nel movimento Cultura Bene Comune, in grado di fare rivivere e riconoscere questi luoghi, appunto, come beni comuni.

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